Brani dal Libro Omonimo
Old Mortality I Puritani di Scozia
di Sir Walter Scott
CAPITOLO I
Molti lettori ricorderanno con delizia l’esplosione di gioia che accompagna il concludersi di un giorno di scuola in un villaggio di campagna in un bel pomeriggio d’estate. Il vivace spirito della fanciullezza, con tanta difficoltà tenuto a freno durante le tediose ore della disciplina, può finalmente esplodere in grida, canti e salti, mentre i ragazzi si riuniscono per decidere gli incontri sportivi della serata.
Ma uno c’è, che partecipa del sollievo di questo momento, e i sentimenti del quale non sono così palesi all’occhio dello spettatore, né così adatti a suscitare la sua simpatia. Parlo del maestro stesso, il quale, assordato dal chiasso e soffocato dall’aria chiusa della stanza di studio, ha trascorso l’intera giornata (lui da solo contro un esercito) a tenere a freno la vivacità degli scolari, lavorando con mite ostinazione per tramutarne l’indifferenza in partecipazione, e sforzandosi di mitigarne il disinteresse; e i cui poteri intellettivi sono ormai obnubilati dall’ascoltare e riascoltare cento e cento volte la stessa lezione, sempre ripetuta con l’unica variante degli sbagli dei recitanti. Perfino i fiori della letteratura classica, così dolci alla lettura solitaria, sono ormai degradati, nella sua mente, dal ricordo di lacrime, di errori e di punizioni; sicché le Ecloghe di Virgilio e le Odi di Orazio, sono ormai per lui inseparabilmente legate all’imbronciato viso e alla inespressiva recitazione di qualche ragazzino in lacrime. E se a queste sofferenze mentali si aggiungono una costituzione delicata e uno spirito che aspira a diventare qualcosa di più che il tiranno di un gruppo di bambini, il lettore potrà farsi una piccola idea del sollievo che una solitaria passeggiata nella frescura di una bella sera estiva può arrecare a una testa dolorante, e a dei nervi scossi da tante ore trascorse nell’esercizio dei doveri della pubblica istruzione.
Queste serali passeggiate estive sono state per me le ore più felici di una vita infelice, e devo confessare che il piano di questo mio lavoro è stato tracciato proprio in quei momenti, in cui il sollievo dal chiasso, e la serenità dello scenario che mi stava intorno, hanno potuto conciliare la mia mente al lavoro della composizione.
Il mio rifugio preferito in queste ore di dorato riposo era la riva di un piccolo torrente, il quale, serpeggiando attraverso “una solitaria valle di verdeggianti felci”, scorre davanti alla scuola del villaggio di Gandercleugh. Per il primo quarto di miglio potrò forse essere ancora disturbato nelle mie meditazione dai litigi e dagli strilli dei miei dispersi pupilli, occupati a strapparsi il berretto l’un l’altro, o a correre a pesca di trote, o in cerca di fiori selvatici lungo rive del torrente; ma, al di là del punto che ho appena menzionato, queste attività giovanili non si estendono volutamente dopo il tramonto. La causa ne è, che, poco oltre, nella parte più stretta della valle, in un punto più elevato rispetto alle ripide rive del torrente, si trova un cimitero abbandonato, al quale i piccoli codardi hanno paura di avvicinarsi dopo il crepuscolo. Per me, tuttavia, il luogo ha un inesprimibile fascino. Per molto tempo è stata la meta favorita delle mie passeggiate, e – se il mio buon protettore non dimentica la sua promessa – sarà per me (e probabilmente in un giorno non molto lontano) l’ultimo luogo di riposo dopo il mio pellegrinaggio su questa terra. (*)
Era questo un luogo in cui si respiravano tutta la solennità, tutta l’atmosfera di un sito di sepoltura, senza che sentimenti troppo spiacevoli ne venissero evocati. Non adoperati da molto tempo, i tumuli che si innalzavano dal terreno erano coperti tutti dalle stesse vellutate zolle erbose. I monumenti, non più di sette od otto, mezzo sprofondati nel suolo, erano coperti di muschio. Nessuna tomba recente veniva a turbare la tranquilla serenità delle mie riflessioni col richiamare alla mente lutti recenti, e nessun ciuffo d’erba ricordava alla mia immaginazione che il suo sinistro rigoglio era dovuto all’orribile fermento dei resti mortali giacenti là sotto a decomporsi. I fiorellini sparsi sulle zolle sepolcrali, e le campanule su di esse piegate, traevano il loro puro nutrimento dalla rugiada del cielo, e il loro rigoglio non evocava ricordi sgradevoli e ripugnanti. Certo la morte è stata qui, e davanti a noi sono i suoi segni; ma sono raddolciti e privati dal loro orrore dalla distanza che ci separa dal periodo in cui furono impressi. Coloro che qui sotto dormono ci riportano solo alla riflessione, che essi furono una volta ciò che noi siamo, e che se i loro resti si sono mescolati con quelli della madre terra, i nostri anche, in qualche momento futuro, subiranno la stessa trasformazione.
Pure, benché le erbose zolle siano cresciute sulla più recente di queste umili tombe per non meno di quattro umane generazioni, la memoria di alcuni di quelli che qui sotto dormono è ancora tenuta in riverente ricordo. Vero è che, sopra il più grande, e, per chi si interessa di cose antiche, il più interessante monumento del gruppo, sul quale è scolpita l’effigie di un cavaliere chiuso nella sua cotta di maglia, con lo scudo appeso al petto, le insegne dell’armatura sono colpite e disfatte dal tempo, e solo poche lettere quasi illeggibili sono sopravvissute, per il piacere di chi volesse decifrarle: Dns…. Johan—de Hamel, oppure Johan— de Lamel—. Ed è pure vero che di un’altra tomba, riccamente scolpita, e ornata di croce, mitra e pastorale, la tradizione può solamente dire che un antico vescovo senza nome giace lì sotterra. Ma su altre due pietre tombali che giacciono accanto a queste, si può ancora leggere in rozza prosa, e in rime ancora più rozze, la storia di coloro che dormono là sotto. Esse appartengono, ci assicura l’epitaffio, a quei perseguitati presbiteriani che offrirono un così melanconico soggetto alla storia ai tempi di Carlo II e dei suoi successori.(*) Tornando dalla battaglia delle Pentland Hills, un gruppo di insorti fu attaccato in questa valle da un piccolo distaccamento di Cavalieri del Re, e tre o quattro di loro vennero uccisi nello scontro, o fucilati dopo la cattura, quali ribelli catturati con le armi in pugno. La popolazione dei paesi vicini continua a tributare alle tombe di queste vittime del fanatismo religioso onori che non tributerebbe al più splendido dei mausolei; e quando le indicano ai loro figli, narrando il fato di quei morti, concludono spesso esortandoli a star pronti, se i tempi lo richiedessero, a sopportare la morte per la causa della libertà civile e religiosa, come i loro coraggiosi antenati fecero.
Sebbene io sia ben lontano dall’approvare le dottrine di coloro che rivendicano a se stessi l’eredità spirituale di uomini, la cui intolleranza, ristrettezza di vedute e meschina bigotteria risultano alla fine evidenti quanto il loro zelo e la loro devozione, non posso però non rispettare la memoria di questi morti, molti dei quali si mostrarono degni del sentimento di libertà di uno Hooper o di un Latimer. D’altra parte sarebbe ingiusto dimenticare che anche gli spiriti più sediziosi e ribelli fra questi infelici Pellegrini dimostrarono, quando chiamati a morire per la loro fede politica e religiosa, lo stesso devoto zelo e la cavalleresca lealtà, manifestate nel loro entusiasmo repubblicano. E’ stato spesso detto del carattere scozzese, che la tenacia di cui è impastato si mostra più utile nelle avversità, quando si mostra simile agli alberi delle natie colline, che sdegnano di piegarsi persino all’autorità del vento, ma, scuotendo i loro rami con egual fierezza in ogni direzione, non mostrano mai un unico lato alla tempesta, e possono essere spezzati, ma non mai piegati. Bisogna capire che io parlo dei miei compatrioti da quello che ho direttamente osservato. Quando si trovano in paesi stranieri, mi hanno detto, essi sono meno intrattabili. Ma è tempo di terminare questa digressione.
Una sera d’estate, mentre, durante una delle passeggiate che ho descritto, mi stavo avvicinando a questa solitaria dimora della morte, fui sorpreso di sentire suoni diversi da quelli che accompagnano di solito la solitudine, cioè il gentile mormorio del torrente, e il sospiro del vento nel fogliame dei tre grandi frassini che formano il confine del cimitero. Si udiva distintamente il battere di un martello; e immaginai con apprensione che una diga di confine, a lungo progettata dai proprietari, le cui tenute erano divise dal mio prediletto ruscello, fosse in costruzione nella valle, per sostituire con la sua lineare deformità il grazioso serpeggiare del confine naturale(*). Ma quando mi avvicinai fui però piacevolmente disingannato. Un vecchio era seduto sul monumento tombale dei presbiteriani massacrati, occupatissimo a ripulire, col suo scalpello, le lettere che componevano l’iscrizione, la quale annunziava, nel linguaggio delle Scritture, le numerose future benedizioni a loro riservate, maledicendo nel contempo con eguale violenza i loro massacratori. Un berretto di insolite dimensioni ricopriva i grigi capelli di questo pio lavoratore. Il suo vestito consisteva in una lunga sopravveste fuori moda, chiamata in scozzese hoddin grey, quale vestivano i contadini più vecchi, con veste e pantaloni del medesimo tipo; e l’intero suo abbigliamento, benché decorosamente tenuto, aveva ovviamente veduto lunghi anni di servizio. Robuste scarpe chiuse, con bottoncini e lacci, e gramoches(*), completavano il suo equipaggiamento. Dietro di lui, intento a pascolare tra le tombe, c’era un pony, suo compagno di viaggio, l’estrema bianchezza del quale, come pure le ossa sporgenti e gli occhi infossati, ben palesavano la sua decrepitezza. Esso era bardato nel più semplice dei modi, con un paio di corregge al posto delle briglie, una corda come cavezza, e un cuscino di paglia , invece che con finimenti e sella. Al collo dell’animale pendeva una sacca di tela, dovendo probabilmente servire a trasportare gli strumenti di lavoro del suo cavaliere, o qualsiasi altra cosa egli avesse occasione di portare con se. Nonostante io non avessi mai visto prima quel vecchio, dalla singolarità della sua occupazione e dallo stile del suo modo di vestire non ebbi difficoltà a riconoscere in lui un religioso itinerante del quale spesso avevo sentito parlare, e che era conosciuto in molte contrade della Scozia con il nome di “Old Mortality”.
Dove quest’uomo fosse nato, o quale fosse realmente il suo nome, non fui mai capace di scoprirlo; e così nemmeno i motivi che lo avevano spinto ad abbandonare la sua casa e a intraprendere quel suo eccentrico ed errante modo di vivere. Da quel che ne diceva la gente, era nativo del Dumfries o del Galloway, e discendente diretto di qualcuno di quei campioni del Covenant, le cui imprese e le cui sofferenze costituivano la sua passione prediletta. Si dice che avesse posseduto, in un certo periodo della sua vita, una piccola fattoria fra le lande; ma che, o a causa di perdite finanziarie, oppure per sventure familiari, da lungo tempo avesse rinunciato a questo e a ogni altro mestiere redditizio. Nel linguaggio delle Scritture, egli aveva abbandonato la sua casa, la sua famiglia, i suoi congiunti, ed era andato pellegrino sulla terra fino al finire dei suoi giorni, un arco di tempo cioè di non meno di una trentina d’anni.
Durante questo lungo periodo di pellegrinaggio, il pio entusiasta regolava il suo giro in modo da visitare ad annuale scadenza le tombe di quegli sfortunati Covenanters, morti in combattimento, oppure giustiziati, durante il regno dei due ultimi monarchi della linea degli Stewart. Queste erano più numerose nei distretti dell’ovest – Ayr, Galloway e Dumfries: ma si trovavano pure in altre regioni della Scozia, ovunque i presbiteriani avessero combattuto e fossero caduti sotto la mano della legge civile o militare. Le loro tombe si trovano spesso lontane dalle umane abitazioni, in lande remote e selvagge ove i Pellegrini erano fuggiti per nascondersi ai loro nemici. Ma dovunque esse fossero situate, Old Mortality le ritrovava e le visitava nel corso del suo annuale pellegrinaggio. Nei più solitari recessi delle montagne, il cacciatore degli uccelli di brughiera lo aveva spesso trovato intento a ripulire dall’erba le grigie pietre, riportando alla luce con il suo scalpello le iscrizioni mezzo cancellate, e riparando gli emblemi di morte dei quali questi semplici monumenti funebri erano adornati. La più sincera, pur se fanatica, devozione, aveva spinto questo vecchio Pellegrino a consacrare tanti anni della sua vita nel pagare questo tributo alla memoria dei morti guerrieri della chiesa. Egli si considerava il depositario di un sacro dovere, mentre rinnovava, per gli occhi della posterità, i logorati simboli dello zelo e delle sofferenze dei loro antenati, e con ciò li adornava, come in effetti era, di luci di segnale per la chiamata delle generazioni future a difendere la propria religione, fosse anche col sangue.
Durante i suoi vagabondaggi, il vecchio Pellegrino non sembrava mai aver bisogno di aiuto finanziario, né mai si seppe che ne avesse accettato. Vero è che le sue necessità erano poche; perché dovunque andasse trovava prontamente alloggio nella casa di qualche Cameroniano della sua setta, oppure di qualche altra persona di ardenti sentimenti religiosi. E l’ospitalità che gli veniva reverenzialmente offerta egli sempre la ricambiava col riparare le pietre tombali (se ne esistevano) della famiglia o degli antenati del suo ospite. Così il Pellegrino poteva essere abitualmente visto intento al suo pio lavoro nel cimitero di qualche chiesetta di campagna, oppure chino su qualche solitaria pietra tombale in mezzo alla brughiera, disturbando il piviere e il gallo nero col tintinnio del suo scalpello e del suo martellino, col vecchio pony bianco che pascolava al suo fianco; e in tal modo acquistò, per la sua dimestichezza con i morti, l’appellativo popolare di Old Mortality.
Il carattere di un tale uomo doveva essere poco incline anche alla più innocente gaiezza. Eppure, tra quelli della sua religione, veniva considerato un uomo allegro. I discendenti dei persecutori, cioè tutti quelli che egli credeva colpevoli di essere tali, come pure quelli che deridevano gli argomenti della sua fede, e dai quali era talvolta infastidito, li chiamava comunemente “generazione di vipere”.
Conversando, si mostrava grave e sentenzioso, non senza esibire una inflessibile severità. Ma pare che non si sia mai abbandonato a sentimenti di violenza, oppure alla collera, eccetto che in una occasione, in cui un monello che aveva marinato la scuola deturpò malignamente con il lancio di una pietra il naso di un cherubino, i cui lineamenti il vecchio era impegnato a ritoccare. Io sono uno che in genere risparmia la verga, malgrado la massima di Salomone(*), per la quale i ragazzi in età di scuola hanno poco da ringraziare la sua memoria. E colgo questa occasione per affermare chiaramente che io non odio certo i bambini. – Ma devo ora ritornare alle circostanze del mio primo incontro con questo interessante entusiasta.
Avvicinandomi a Old Mortality, non potei mancare di rendere omaggio ai suoi anni e ai suoi principi morali, e cominciai rivolgendogli le scuse più sentite per aver interrotto il suo lavoro. Il vecchio smise allora di scalpellare, si tolse gli occhiali, li ripulì con cura, e cortesemente ricambiò il mio saluto. Incoraggiato dai suoi modi affabili, gli feci qualche domanda sui morti, il cui monumento funebre era in quel momento occupato a riparare. Parlare delle imprese dei Covenanters era la sua gioia, come restaurare le loro tombe era la missione della sua vita. Si diffuse dunque volentieri nel rendermi note anche le più piccole informazioni da lui raccolte su di essi, le loro battaglie, le loro peregrinazioni. Lo si sarebbe creduto un loro contemporaneo, partecipe lui stesso di tutto quel che raccontava, tanto i suoi sentimenti si erano identificati con i loro, e tanto le sue storie possedevano la viva intensità e l’esattezza di una testimonianza oculare. “Noi ” disse, in tono di esultanza “noi soli siamo i veri Whigs. Gli uomini carnali hanno usurpato questo vittorioso appellativo, mentre seguono invece colui il cui regno è di questo mondo. Chi di loro resterebbe sei ore sull’erba bagnata delle colline, per ascoltare un buon sermone? Non ci starebbero nemmeno un’ora. Nemmeno un capello della loro testa è migliore, rispetto a quelli che non si vergognano di portare il nome di sanguinari Cavalieri. Non sono che egoisti, alla ricerca solo del proprio interesse, che si affannano per i beni materiali, per il potere, e per l’ambizione mondana, e dimenticano quello che abbiamo sofferto e patito per mano dei potenti che si sono levati sulla breccia nel grande giorno della collera. Nessuna meraviglia se temono che si compia ciò che è stato detto dalla bocca del degno Mr. Peden (quel prezioso servo del Signore, di cui nessuna parola è caduta invano nella terra), che il monzies(*) francese sbarchi, sollevando le valli di Ayr e le pianure del Galloway, come fecero gli uomini delle Highlands nel 1677. E adesso si sono affidati all’arco e alla lancia, mentre dovrebbero piangere per la corruzione del paese e per il Covenant distrutto”.
Proponendomi di blandire il vecchio lasciando passare senza contraddizioni le sue straordinarie opinioni, e ansioso di prolungare la conversazione con un personaggio tanto singolare, lo convinsi ad accettare l’ospitalità che Mr. Cleishbotham è sempre lieto di offrire a coloro che ne hanno bisogno. Sulla strada che conduce alla dimora del maestro di scuola ci fermammo al “Wallace Inn”, dove ero certo di trovare il mio protettore, come sempre a quell’ora della sera. Dopo un cortese scambio di gentilezze, Old Mortality fu convinto, non senza difficoltà, a dividere col suo ospite un bicchiere di liquore, a condizione che gli fosse permesso di scegliere il brindisi, ciò che egli fece meditando per circa cinque minuti, e poi, levandosi il berretto e alzando gli occhi al cielo, bevve alla memoria di quegli eroi della Chiesa che per primi innalzarono il loro stendardo sulle montagne. Nessuna esortazione poté convincerlo a spingere la sua convivialità fino ad accettare un secondo bicchiere, e quindi il mio protettore lo accompagnò a casa e lo ospitò nella Camera del Profeta, come si compiaceva di chiamare la stanzetta che, contenendo un letto in più, è stata tanto spesso un rifugio per il povero viaggiatore.(*)
Il giorno seguente presi congedo da Old Mortality, il quale sembrava colpito dall’eccezionale premura che dimostravo nel voler coltivare la sua conoscenza e ascoltare la sua conversazione. Dopo che fu montato, non senza difficoltà, sul suo vecchio pony bianco, egli mi prese la mano e disse. “La benedizione di nostro Signore sia con te, caro giovane! Le mie ore sono come le spighe dell’ultimo raccolto, mentre ancora i tuoi giorni vivono la loro primavera; eppure potresti esse raccolto e condotto nel granaio dell’immortalità prima di me, perché la falce della morte recide la spiga verde come quella matura, e sulle tue guance vedo un colore che, come il bocciolo della rosa, serve spesso a nascondere il verme della corruzione. Lavora dunque, come uno che non sa quando il padrone lo chiamerà. E se è sorte che io torni in questo villaggio dopo che tu te ne sarai andato in pace all’ultimo riposo, queste vecchie mani rugose faranno una pietra a tua memoria, perché il tuo nome possa non perire in mezzo agli uomini”.
Ringraziai Old Mortality per le sue gentili intenzioni a mio riguardo, e, con un sospiro non tanto, credo, di rimpianto, quanto di rassegnazione, pensai che probabilmente avrei presto avuto bisogno della sua opera. Ma, benché con ogni umana probabilità egli non sbagliasse nel supporre che la breve durata della mia esistenza potesse essere troncata nella giovinezza, tuttavia aveva sovrastimato il periodo del suo proprio pellegrinaggio su questa terra. Molti anni sono passati da quando i suoi viaggi sono finiti, e la terra, il muschio, le impronte del cervo hanno ricoperto quelle pietre, la pulizia delle quali era stato il lavoro della sua vita. Proprio all’inizio di questo secolo egli ha concluso la sua fatica terrena; fu trovato sulla strada maestra nei pressi di Lockerby, nel Dumfries-shire, spossato e in punto di morte. Il vecchio pony bianco, compagno di tutti i suoi vagabondaggi, era rimasto a fianco del suo moribondo padrone. Sulla sua persona fu trovata una somma di denaro sufficiente a procurargli un funerale decoroso, il che dimostra che la sua morte non fu in alcun modo affrettata da violenza o bisogno. La gente del popolo ancora ricorda la sua memoria con grande rispetto; ed è opinione generale che le pietre tombali restaurate da lui non avranno mai più bisogno dell’opera dello scalpello. Dicono che sulle tombe dove la sua mano ha lavorato per ricordare l’assassinio dei martiri, i nomi di questi rimarranno per sempre leggibili, mentre quelli dei loro persecutori, scolpiti sulla stessa pietra, sono assolutamente svaniti. E’ appena necessario dire che tutto questo non è che puramente immaginario, e che, dai tempi del devoto Pellegrino, le tombe che furono oggetto della sua cura sono sprofondate, come tutti i monumenti di questa terra, nella rovina e nel decadimento.
I miei lettori avranno certo compreso, che nel condensare in un corpo unico i tanti racconti che ho avuto la fortuna di raccogliere su Old Mortality, mi sono tenuto ben lontano dal fare mie le sue opinioni, il suo modo di parlare, o anche il suo modo di raccontare i fatti, tanto essi appaiono distorti e deformati dai pregiudizi di parte. Ho sempre cercato di correggere e di verificare tutti i racconti, confrontandoli con le più autorevoli fonti della tradizione, e mettendo poi a confronto le versioni fornite da entrambe le parti.
Per la parte presbiteriana, ho consultato molti contadini delle fattorie dei distretti dell’ovest, i quali, per la bontà dei loro padroni, o in altro modo, erano riusciti a conservare, durante gli ultimi grandi cambiamenti di proprietà, il possesso dei terreni sui quali i loro antenati pascolavano le loro greggi e le loro mandrie. Devo ammettere che da questo lato ho ricavato soltanto informazioni limitate. Quindi ho ricercato l’aiuto supplementare di quei modesti girovaghi, cui la scrupolosa cortesia dei nostri antenati dava il nome di merciai girovaghi, ma che più tardi, conciliando noi stessi in questo come in altri particolari più materiali col modo di sentire dei nostri più ricchi vicini,(*) abbiamo imparato a chiamare straccivendoli. Ai tessitori di paese che viaggiavano nella speranza di vendere tessuti per l’inverno, ma ancor più ai sarti, che per la loro professione sedentaria, e la necessità, tipica del nostro paese, di lavorare prendendo temporanea residenza nelle famiglie in cui erano impiegati, possono essere considerarti come i più completi registri viventi delle tradizioni rurali, sono debitore di moltissime spiegazioni sui racconti di Old Mortality, completamente in accordo con il gusto e lo spirito dell’originale.
Molta più difficoltà ho trovato nel reperire materiale che mi aiutasse a correggere il tono di parzialità che chiaramente permea queste fonti di sapere tradizionale, in modo da poter presentare un quadro imparziale di quell’infelice periodo, e, allo stesso tempo, di rendere giustizia a tutti e due le parti. Però mi è stato reso possibile rendere più precisi i racconti di Old Mortality e dei suoi amici Cameroniani, dalle notizie fornitemi da più di un discendente di qualcuna di quelle antiche e onorate famiglie, che, decadute oggi a un più modesto tenore di vita, ancora guardano con fierezza a quel passato, in cui i loro antenati combatterono e caddero in difesa dell’esiliata casa degli Stewart. Dalla stessa parte posso a buon diritto vantare la venerabile autorità di più di un Vescovo anticonformista, la cui autorità e le cui rendite sono proprio quali il più fanatico odiatore dell’Episcopalismo potrebbe desiderare, e che si è degnato, desinando all’umile tavola del “Wallace Inn”, di fornirmi informazioni correttive di quei fatti che avevo appreso da altre fonti. Ho trovato anche, qua e là nel paese, un Laird o due che, pur stringendosi nelle spalle, non mostrava gran professione di vergogna nel ricordare come il proprio padre avesse servito negli squadroni di Earlshall e Claverhouse. Dai maestri di caccia di questi gentiluomini, una carica che in queste famiglie più di ogni altra finisce per diventare ereditaria, mi è stato altresì possibile raccogliere molte preziose informazioni.
Soprattutto, temo moltissimo che nel descrivere le azioni che gli uomini buoni e cattivi dei due partiti furono spinti a compiere dai loro opposti principi, io possa essere sospettato di voler recare offesa o portare ingiustizia a qualcuno. Se la memoria delle offese patite, l’esagerata lealtà, e il disprezzo e l’odio per i loro avversari, ebbero a risultare nel rigore e nella tirannia da una parte, difficilmente si può negare, però, che, se lo zelo per la casa di Dio non divorava i fedeli delle conventicole, divorò, almeno, per imitare la frase di Dryden, una non piccola parte della loro lealtà, buon senso, e buon comportamento. Possiamo a buon diritto sperare che le anime degli uomini bravi e sinceri di ambo le parti stiano da lungo tempo guardando con sorpresa e pietà ai travisati motivi che causarono la loro reciproca inimicizia e il mutuo odio, mentre si trovavano in questa valle di tenebre, sangue e lacrime. Sia pace alla loro memoria! Lasciateci pensare di loro ciò che l’eroina della nostra unica tragedia scozzese(*) implora al suo signore di pensare del suo sire scomparso:
“Oh! non frugare nelle ceneri dei nostri padri!
Implacabile risentimento fu la loro colpa,
Terribile la loro espiazione!”